Una coltre di primule. Pecore
controluce (metta, metta, Tonino,
il cinquanta, non abbia paura
che la luce sfondi - facciamo
questo carrello contro natura).
Il Tonino di cui parla Pasolini in questi versi tratti da
Poesia in forma di rosa è Tonino Delli Colli, direttore della fotografia legato indissolubilmente a PPP, da
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Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini, Il Decameron, I racconti di Canterbury.
La sua carriera inizia nel 1938: Delli Colli ha sedici anni, ha appena abbandonato gli studi e riesce a trovare lavoro a Cinecittà, fondata un anno prima. Quando gli chiedono se preferisce lavorare al sonoro o alla macchina da presa, sceglie la seconda. Come ha raccontato lui stesso in
un’intervista per l’American Cinematographer, da quella scelta è nata la sua storia nel cinema, in modo quasi casuale: «nella vita è sempre una questione di fortuna. A quei tempi non avevo idea di cosa significasse essere un operatore alla macchina da presa, così come non sapevo che quelle poche parole avrebbero determinato il corso della mia vita. A volte un paio di parole possono cambiare tutto».
Tonino Delli Colli ha attraversato sessant’anni di storia del cinema italiano: dai telefoni bianchi (sottogenere della commedia in voga tra gli anni Trenta e Quaranta) fino a
La vita è bella di Roberto Benigni (1997). Tra questi due poli, d’è il lavoro al fianco di autori e autrici come Mario Monicelli, Dino Risi, Jean-Jacques Annaud, Roman Polanski, Sergio Leone, Federico Fellini, Lina Wertmüller, Luis García Berlanga, Margarethe Von Trotta, oltre al già citato Pier Paolo Pasolini.
La formazione di Delli Colli avviene sul set, al fianco di Mario Albertelli: è sul campo che apprende la tecnica e l’artigianato della professione, in una sorta di apprendistato che ricorda quello dei pittori rinascimentali, che andavano a bottega a lavorare al fianco dei maestri per imparare il mestiere.
Nel dopoguerra, è al centro del Neorealismo: «potevamo usare solo la luce ambientale o quella che arrivava dalle finestre, e questo era il punto di partenza per la fotografia». Anche dopo l’avvento del colore, Delli Colli rimane molto legato al bianco e nero, che rende possibile la creazione di «atmosfere uniche e irripetibili». Nel 1952 si ritrova a lavorare al primo film italiano a colori,
Totò a colori di Steno: «nessun altro voleva farlo. [...] Le uniche luci che avevamo a disposizione erano quelle per le pellicole in bianco e nero. L’illuminazione divenne estremamente complicata. In parole povere, quello che volevano era una valanga di luci».