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La semplicità dei sentimenti

Tonino Delli Colli e la storia del cinema italiano

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Published: 2 mar 2022
Una coltre di primule. Pecore
controluce (metta, metta, Tonino,
il cinquanta, non abbia paura
che la luce sfondi - facciamo
questo carrello contro natura).

Il Tonino di cui parla Pasolini in questi versi tratti da Poesia in forma di rosa è Tonino Delli Colli, direttore della fotografia legato indissolubilmente a PPP, da Accattone a Salò o le 120 giornate di Sodoma, passando per Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e uccellini, Il Decameron, I racconti di Canterbury.

La sua carriera inizia nel 1938: Delli Colli ha sedici anni, ha appena abbandonato gli studi e riesce a trovare lavoro a Cinecittà, fondata un anno prima. Quando gli chiedono se preferisce lavorare al sonoro o alla macchina da presa, sceglie la seconda. Come ha raccontato lui stesso in un’intervista per l’American Cinematographer, da quella scelta è nata la sua storia nel cinema, in modo quasi casuale: «nella vita è sempre una questione di fortuna. A quei tempi non avevo idea di cosa significasse essere un operatore alla macchina da presa, così come non sapevo che quelle poche parole avrebbero determinato il corso della mia vita. A volte un paio di parole possono cambiare tutto».

Tonino Delli Colli ha attraversato sessant’anni di storia del cinema italiano: dai telefoni bianchi (sottogenere della commedia in voga tra gli anni Trenta e Quaranta) fino a La vita è bella di Roberto Benigni (1997). Tra questi due poli, d’è il lavoro al fianco di autori e autrici come Mario Monicelli, Dino Risi, Jean-Jacques Annaud, Roman Polanski, Sergio Leone, Federico Fellini, Lina Wertmüller, Luis García Berlanga, Margarethe Von Trotta, oltre al già citato Pier Paolo Pasolini.

La formazione di Delli Colli avviene sul set, al fianco di Mario Albertelli: è sul campo che apprende la tecnica e l’artigianato della professione, in una sorta di apprendistato che ricorda quello dei pittori rinascimentali, che andavano a bottega a lavorare al fianco dei maestri per imparare il mestiere.

Nel dopoguerra, è al centro del Neorealismo: «potevamo usare solo la luce ambientale o quella che arrivava dalle finestre, e questo era il punto di partenza per la fotografia». Anche dopo l’avvento del colore, Delli Colli rimane molto legato al bianco e nero, che rende possibile la creazione di «atmosfere uniche e irripetibili». Nel 1952 si ritrova a lavorare al primo film italiano a colori, Totò a colori di Steno: «nessun altro voleva farlo. [...] Le uniche luci che avevamo a disposizione erano quelle per le pellicole in bianco e nero. L’illuminazione divenne estremamente complicata. In parole povere, quello che volevano era una valanga di luci».
Il ritorno all’amato bianco e nero arriva con Pier Paolo Pasolini. Questa svolta nella carriera di Delli Colli giunge in modo quasi casuale. Mentre è sul set di Le meraviglie di Aladino di Mario Bava, gli parlano di un nuovo progetto di Pasolini e si propone come direttore della fotografia: il produttore gli dice che è troppo costoso, «allora gli dissi di pagarmi quello che poteva». La collaborazione tra Pasolini e Delli Colli dura quindici anni: «Pasolini era qualcosa di diverso. Il nostro rapporto era perfetto. Era una persona dolce e gentile, e rispettava ogni persona sul set». Per girare Accattone, Delli Colli sceglie le pellicole Ferrania dalla grana grossa, ne sfrutta le imperfezioni e i forti contrasti: conferisce così maggiore drammaticità ai primi piani e quella forza espressiva tipica dei film di Pasolini.
L’altro sodalizio importante nella lunga carriera di Delli Colli è quello con Sergio Leone. La sua perizia è fondamentale ne Il buono, il brutto, il cattivo. Leone desidera una fotografia che esalti i dettagli dei primi piani ma sia anche efficace nei campi lunghi. Sotto il sole spagnolo, Delli Colli attende con pazienza la luce giusta per rendere indimenticabili i duelli e gli sguardi del western di Leone.

Ciò che ha reso Tonino Delli Colli uno dei migliori direttori della fotografia della storia del cinema è stato il suo approccio: «ho sempre cercato di illuminare le storie usando la semplicità dei miei sentimenti e lasciandomi guidare dall’istinto». Questo l’ha portato a non fossilizzarsi su formule consolidate e a cercare sempre la soluzione migliore per tradurre in immagini le storie e le visioni dei registi e delle registe con cui ha lavorato.