Michel de Notre Dame, meglio noto come Nostradamus, frequentava la corte di Caterina de' Medici. Pare che i due fossero insieme, su una terrazza del palazzo reale francese, quando Nostradamus avrebbe avuto delle visioni profetiche mentre osservava il sole con gli occhi chiusi, creando con la mano aperta una luce intermittente. Questo sarebbe uno dei primi casi della storia di flicker-induced hallucination (che potremmo tradurre come “allucinazioni da sfarfallio”).
La stimolazione stroboscopica è parte integrante dell’encefalogramma, al fine di stabilire la risposta alle onde alfa e testare possibili reazioni fotoparossistiche nelle persone affette da epilessia fotosensitiva.
Il neurofisiologo William Grey Walter, uno dei pionieri dell'applicazione dell'elettroencefalografia alla clinica neurologica e psichiatrica, notò un altro effetto della luce stroboscopica: alcune persone dicevano di aver visto «spirali, vortici, esplosioni: testando un dispositivo per studiare l’epilessia, siamo incappati in uno di quei naturali paradossi che sono il segno di una verità nascosta», come racconta Walter nel libro The Living Brain. Una descrizione vertiginosa di queste allucinazioni è quella del poeta Margiad Evans, citato nel libro di Walter: «luci come comete dondolavano davanti a me, prima lentamente, poi sempre più veloci e cangianti, colori che vorticavano dentro altri colori, angoli dentro angoli. Erano puri colori ultraterreni, colori mentali, non legati alla vista profonda. Non c’era splendore in loro, ma solo movimento e rotazione».
In ambito scientifico le reazioni alla scoperta di queste allucinazioni visive non hanno suscitato particolare interesse: si trattava di una scoperta tutto sommato collaterale per il progresso in campo medico. Diverso, invece, fu l’effetto sulla cultura underground degli anni Sessanta, e nello specifico sulla Beat Generation.
E qui torna The Living Brain di Walter: uno dei suoi lettori è stato William Burroughs. La flicker-induced hallucination potrebbe avergli ricordato la storia che gli aveva raccontato il suo amico Brion Gysin. Negli anni Cinquanta entrambi vivevano in un modesto hotel in rue Gît Le Coeur 9, nel cuore del Quartiere Latino di Parigi. Il 21 dicembre 1958 Gysin aveva annotato sul suo diario un episodio avvenuto mentre viaggiava in autobus nel sud della Francia. Passando accanto a una fila di alberi, la luce del sole divenne intermittente e Gysin vide «una marea travolgente di forme con colori sovrannaturali e intensamente brillanti [...] un caleidoscopio multidimensionale che vorticava nello spazio. La visione si interruppe di colpo quando superammo gli alberi. Era una visione?».
Gysin conobbe, attraverso un’esperienza casuale, quello che scienziati e neurofisiologi come Walter avevano scoperto in laboratorio. Burroughs, che aveva letto The Living Brain, inquadrò l'esperienza dell’amico in una cornice teorica. Gysin, allora, convinse il matematico Ian Sommerville a costruire uno stroboscopio. Il risultato fu un oggetto dal design semplice, ma molto efficace: al centro di un cilindro di cartone con dei fori a una distanza regolare venne posizionata una lampadina; il cilindro poi fu sistemato su un giradischi da 78 giri al minuto. La luce emanata dalla lampadina che girava sul giradischi avrebbe avuto così una frequenza regolare compresa tra gli 8 e i 12 Hz di onde alfa, simile a quella prodotta da uno stroboscopio da laboratorio.
Questo aggeggio fu ribattezzato Dreamachine e la sua fama si sparse molto velocemente tra i beatnik. Allen Ginsberg descrisse così la sua esperienza: «è come avere davanti paesaggi e preziose forme bibliche senza assumere sostanze chimiche». Secondo Gysin, la Dreamachine aveva le potenzialità per sostituire la tv nelle case delle persone. La brevettò come «un metodo e un sistema per la produzione di sensazioni artistiche» e si mise in contatto con la Philips. Dei rappresentanti dell’azienda andarono all’hotel in rue Gît Le Coeur 9 per visionare la Dreamachine ma non fu trovato un accordo per una produzione di massa, nonostante gli sforzi di Gysin: la Philips non vide un potenziale commerciale e probabilmente la scelta fu influenzata anche da una paura profondamente radicata nei confronti dell’epilessia fotosensitiva.
Negli anni ’80, Gysin morì nell’anonimato: fatta eccezione per l’influenza su alcuni musicisti come Iggy Pop e Marianne Evelyn Gabriel Faithfull, il suo nome rimase sempre piuttosto oscuro per il grande pubblico. Stessa sorte toccò alla sua Dreamachine: amatissima dalla Beat Generation, da musicisti come Kurt Cobain e Genesis P-Orridge e da scrittori come Aldous Huxley (che la vedeva come «un pilastro dell’esperienza visionaria») e Margaret Atwood, non divenne mai un oggetto pop come sognava il suo inventore.
Se torniamo a parlare di Dreamachine oggi è per il rinnovato interesse per le esperienze psichedeliche. Un interesse scientifico, che si è allargato anche alla cultura pop: sostanze come lsd, psilocibina e dmt non suscitano più paura ma curiosità e voglia di esplorare i confini della mente. Ed è forse grazie anche a quello che è stato definito “
rinascimento psichedelico” (che potete approfondire
qui e
qui) che è nata un app,
Lumenate, che funziona proprio come una Dreamachine: attraverso la luce intermittente di uno smartphone, conduce l’utente in uno stato tra l’esperienza psichedelica e la meditazione profonda. I creatori di Lumenate, Tom Galea e Jay Conlon, affermano di voler «rendere più accessibile che mai l’esplorazione del subconscio». Su Lumenate si è espresso positivamente il team del Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College: secondo Christopher Timmerman, «esplorando le esperienze immersive degli utenti di Lumenate, possiamo imparare molto sulla mente e sul cervello».
La Dreamachine non ha sostituito la televisione come desiderava Gysin, ma, con Lumenate, ha raggiunto un oggetto che sta nelle tasche di milioni di persone. Un oggetto che ci permette di entrare in contatto con gli altri esseri umani e grazie a un’app forse anche con la nostra coscienza più profonda.