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Lighthinking

I segreti di Alberto Cavalli e Alessandro Mari

Un’intervista doppia, aspettando i loro interventi al Fuorisalone

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Published: 3 apr 2019
Alberto Cavalli e Alessandro Mari sono due personaggi molto diversi ma hanno in comune la brillantezza e l’originalità nell’esporre le proprie idee e nel raccontare le loro esperienze. Chi sarà a Milano durante il Fuorisalone potrà sentirli dal vivo, nei due talk a tema “Segreto” che terranno al Light Gate, il nuovo spazio iGuzzini: il 9 aprile, Mari parlerà del segreto nello storytelling; l’11 aprile Cavalli interverrà sul segreto dell’artigianalità. Per sapere cosa aspettarci, li abbiamo intervistati cercando di metterli anche un po’ in difficoltà.

Ma prima di iniziare, per chi già non li conoscesse, ecco un rapido giro di presentazioni: Alberto Cavalli dirige la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, co-dirige la Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship e insegna al Politecnico di Milano; Alessandro Mari, narratore e traduttore, è Maestro del college Scrivere alla Scuola Holden di Torino e Direttore Creativo di Holden Studios.

Nome, cognome, età.
AM: Alessandro Mari, 39 appena compiuti – dannazione.

AC: Alberto Cavalli, 44.

Se un bambino ti chiedesse che lavoro fai, come risponderesti?
AM: Produco oggetti che raccontano storie – libri, musei, speech, e così via – e insegno ad altri come raccontarle.

AC: Direi che faccio il debuttante. Lavorando con grandi artigiani che hanno decenni di esperienza, mi sembra sempre di debuttare con progetti nuovi.

Da insegnante, qual è la prima cosa che cerchi di trasmettere agli studenti?
AC: L’amore per quello che devono fare. Tutti dobbiamo lavorare; essere infelici di quello che facciamo è firmare la nostra condanna.

AM: Godimento e disciplina. Claudio Abbado diceva una cosa superfiga: se vuoi insegnare a un bambino come si suona il pianoforte, mettilo davanti alla tastiera; se dare manate lì sopra gli provoca godimento, allora puoi dargli anche una tecnica. La disciplina poi ti serve perché quando scrivi passano giornate in cui non arrivi a niente, ma devi ostinarti. Godere di questa disciplina è un’esperienza talvolta alienante, ma gli studenti della Scuola Holden devono impararla molto presto per andare avanti.
Alberto Cavalli e Alessandro Mari sono due personaggi molto diversi ma hanno in comune la brillantezza e l’originalità nell’esporre le proprie idee e nel raccontare le loro esperienze.
I segreti di Alberto Cavalli e Alessandro Mari
Iniziamo con le domande difficili. Hai già preparato le cose che dirai durante il talk al Fuorisalone?
AM: No. Ho in mente un concetto solo: le parole sono una specie di luce e possono sciupare dei segreti che devono rimanere in penombra. Sono un animale da live, quindi mi piace arrivare avendo al massimo un canovaccio in testa e qualche suggestione da interpretare.

AC: Anch’io per ora ho un’idea: so che dovrò cercare di svelare una cosa difficile da vedere, cioè che il grande “saper fare” dei maestri artigiani italiani è un vantaggio competitivo per il mondo del design. È un segreto molto ben custodito, che al contempo è diventato un luogo comune.

Cosa eviterai di dire?
AM: Eviterò di leggere una pagina in cui si parli di luce o di segreti rivelati! Di sicuro non dirò che una storia o il design debbano “rivelare” qualcosa. Noi esseri umani siamo un po’ come lucertole: cerchiamo il caldo, ma per farlo non montiamo a bordo di un razzo diretto verso il Sole; cerchiamo gli oggetti che il Sole carica di energia.

AC: Eviterò di fare prediche. Come ricorda Alessandro Manzoni – lo fa dire a don Rodrigo – il predicatore in casa non lo hanno che i principi! Chi vuole una predica va in chiesa o a un comizio.

Cosa ti farebbe vergognare a morte durante un talk?
AM: Raramente mi trovo in difficoltà, perché sono una faccia di cazzo. Diciamo che se mi facessi la pipì addosso, durante un talk, dovrei trovare una battuta veramente miracolosa per uscirne sano e salvo, ma in dieci anni di “pornografia”, di esposizione del corpo in pubblico, non mi è mai capitato niente che mi abbia messo tanto in imbarazzo da dover scappare e piangere.

AC: Come tutti coloro che soffrono della sindrome dell’impostore, vivo nell’angoscia che qualcuno si alzi e, additandomi, gridi: “lei è un cialtrone”. Studio sempre, per evitare che accada.
Quali segreti cerchi nei libri e in generale nelle opere d’arte?
AC: Cerco sempre una visione originale, anche su cose che penso di sapere già. Non credo ci manchi l’informazione, oggi, ma le prospettive nuove.

AM: Soprattutto nella fiction, ma non solo nella fiction, cerco mappe di ciò che non si può mappare. Anche cose molto semplici. Un coniglio attraversa la strada e muore; un bambino lo vede. Possiamo mappare cosa è successo nel bambino?

Ci sono cose che ti piacciono di cui però ti vergogni?
AM: Sono un divoratore generico, mi piacciono cose molto sofisticate e cose molto elementari. Ricordo sempre una frase di David Foster Wallace che diceva di adorare i film “where shit explodes”. È abbastanza miracoloso che a un tipo con quella testa lì piacessero i film con le esplosioni, o che abbia passato la prima notte di nozze con la sua compagna a guardare The Wire.

AC: Godo delle esperienze estetiche quando ne percepisco l’autenticità, che si tratti di un paesaggio naturale, di una costruzione o di un’opera d’arte. Una cosa di cui però mi vergogno è la lettura dei romanzi di M. Delly, una scrittrice francese di inizio Novecento. Fanno parte della Biblioteca delle Signorine di Salani e sono dei libri veramente agghiaccianti, ma mi piacciono moltissimo, magari dopo un’esperienza molto stressante.

Qual è stata l’ultima volta in cui hai pensato “ho fatto una cazzata”?
AC: Quando ho voluto fare l’eroe e aiutare la signora del secondo piano a portare su la spesa. La signora doveva aver comprato delle lapidi, a giudicare dal peso dei sacchetti. Soffro di mal di schiena e la sto ancora scontando.

AM: Ogni mattina mi sveglio e penso alle cose che ho sbagliato il giorno prima, quindi ogni mattina mi sveglio pensando di aver fatto delle cazzate. Da qui però paradossalmente viene tutta la mia forza, perché resto un entusiasta della vita.

Come hai evitato che si venisse a sapere?
AC: Andavo in giro piegato in due! Come la vergogna, che ti fa arrossire, il mal di schiena è un segreto che non puoi nascondere.

AM: Tendo a non mantenere segreti, a meno di cose molto, molto private. L’esposizione in genere mi piace, per una questione di psicoterapia di gruppo: se dici un segreto di cui ti vergogni, finisci per sminuirne la portata.
Ultimo pseudonimo usato?
AM: “Stupida Scimmia”, e continuo a usarlo.
AC: Da sempre, il mio pseudonimo è “Vanderbilt”. Ho iniziato a usarlo 20 anni fa, agli albori dei blog, perché mi piaceva Gloria Vanderbilt.

E perché usi uno pseudonimo?
AM: In realtà non lo uso molto. Però ogni tanto mi piace ricordarmi che sono una stupida scimmia, che non sono così intelligente. Ho molto affetto per i primati.

AC: Per creare un piccolo segreto, un piccolo mistero. Lo pseudonimo ti aiuta a mettere in luce o a nascondere qualche parte di te.

Fatevi una domanda a vicenda.
AC: Alessandro, perché hai questo interesse per i primati rispetto agli altri animali?

AM: In generale, amo gli animali. Quanto ai primati, credo che gli esseri umani, sofisticando il pensiero, abbiano perduto qualcosa che era preverbale; ogni tanto, guardare come si comportano le scimmie o i bonobo mi aiuta a solidarizzare con le parti preverbali o prerazionali di me. Io invece volevo chiederti se c’è mai stata una volta nella vita in cui ti sei detto “adesso smetto tutto quello che sto facendo per fare un’altra cosa”, e cos’era.

AC: Sì, quando ho deciso tra il 2007 e il 2008 di lasciare il lavoro che facevo nell’ufficio stampa di un’azienda molto importante e di accogliere l’invito del dottor Cologni a lavorare per lui nella fondazione. Mi sono ricordato di una frase di Valentino, “leave the party when it’s full”. Mi sono detto “now the party’s quite full”, e ho cambiato. Sono convinto che bisogna uscire dalle situazioni conservando bei ricordi, senza lasciare che inizino a degenerare e deluderci.