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Lighthinking

Animali che brillano nel buio: la biofluorescenza

Scoperte recenti mostrano che diversi mammiferi, illuminati con luci UV, emettono luce colorata

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Published: 4 feb 2021
[Avviso: l’articolo contiene immagini di animali imbalsamati, esemplari conservati in musei di storia naturale.]

Fino a pochi mesi fa si pensava che gli unici mammiferi il cui pelo poteva brillare nel buio fossero alcune specie di opossum diffusi nelle Americhe. Tra novembre e dicembre del 2020, forse nel tentativo di dimostrare che un’annata tanto negativa poteva ancora regalarci qualcosa che possa fare sorridere, istituzioni diverse negli Stati Uniti e in Australia hanno scoperto che la proprietà della biofluorescenza riguarda diversi altri mammiferi appartenenti agli ordini dei marsupiali (vombati, diavoli della Tasmania, bilby), dei cingolati (armadilli) e dei monotremi (ornitorinchi, echidne): illuminati con luci UV, assumono colori tra il giallo e il verde.
 


Tweet del WA Museum Boola Bardip di Perth (Australia) che mostra foto sotto una lampada UV di bilby e armadilli;
risposta con foto di vombato

 

Biofluorescenza and Bioluminescenza

È importante distinguere due diversi fenomeni che riguardano la capacità degli esseri viventi di emettere luce. La biofluorescenza, di cui parliamo in questo articolo, si verifica quando un organismo, esposto a una luce ad alta frequenza (come le luci ultraviolette), emette di rimando una luce a frequenza più bassa (cioè colori nello spettro visibile agli esseri umani). Causa di questo effetto fisico possono essere particolari proteine o altre sostanze organiche che compongono i tessuti del vivente. Tra gli animali, sono biofluorescenti molte specie di pesci, celenterati, rettili, anfibi e uccelli. Gli scienziati ipotizzano che brillare al buio in certe condizioni possa essere alternativamente utile per farsi notare dai propri simili o per mimetizzarsi e sfuggire a predatori dotati di una visione che non rileva le luci a bassa frequenza.

Se la biofluorescenza si attiva solo in presenza di una luce esterna, esistono anche organismi capaci di emettere luce autonomamente dal proprio corpo, grazie a una reazione chimica che produce energia luminosa: questo tipo di emissione si chiama bioluminescenza. Il caso più noto è quello delle lucciole, ma la bioluminescenza riguarda anche molti tra pesci, cefalopodi e crostacei, oltre a batteri e funghi.

Ornitorinchi

Lo studio che ha dato il via alla piccola ondata di interesse per gli effetti delle luci UV sul pelo dei mammiferi è stato quello sugli ornitorinchi pubblicato dalla rivista scientifica internazionale Mammalia con le firme di Paula Spaeth Anich, Sharon Anthony, Michaela Carlson, Adam Gunnelson, Allison M. Kohler, Jonathan G. Martin ed Erik R. Olson. Oltre a essere il primo paper è anche il più approfondito tra quelli disponibili, e racconta nei dettagli le operazioni condotte per verificare il risultato.
Animali che brillano nel buio: la biofluorescenza

Un esemplare maschio di ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus) proveniente da museo (FMNH 16612) prelevato in Tasmania, Australia, fotografato sotto luce visibile e luce ultravioletta (UV) 385-395 nm senza e con un filtro giallo. Nelle riproduzioni al centro si osserva una biofluorescenza tra ciano e verde di ∼500 nm. L’assorbimento UV è indicato dalle aree scure nel pannello all’estrema destra. Mammalia 2020; 10.1515/mammalia-2020-0027
 

La curiosità dei ricercatori intorno al fenomeno nasceva da una precedente scoperta di una di loro: durante un’indagine sui licheni in un bosco, si era imbattuta in alcuni scoiattoli volanti e aveva notato che, illuminati con la torcia UV, brillavano di un rosa acceso.

Dopo aver confermato l’osservazione su alcuni esemplari imbalsamati del roditore conservati nel Field Museum of Natural History di Chicago, i ricercatori hanno pensato di estendere il campo d’indagine anche a quell’animale particolarissimo che è l’ornitorinco: mammifero ma oviparo, dotato di un becco simile a quello delle anatre, di una coda simile a quella dei castori, di zampe simili a quelle delle nutrie e – nel maschio – di speroni nelle zampe posteriori che iniettano veleno. Dal museo di Chicago hanno prelevato due esemplari, un maschio e una femmina, ai quali hanno aggiunto un maschio prelevato dallo State Museum della University of Nebraska.
 

Un post dello zoo di Toledo (Ohio) sulla biofluorescenza nei diavoli della Tasmania
 

In laboratorio hanno fotografato gli animali applicando all’obiettivo un filtro che bloccava le onde di lunghezza inferiori a un certo limite, in modo da vedere meglio le lunghezze superiori (appunto quelle emesse dai tessuti biofluorescenti). Se alla luce visibile il folto pelo degli ornitorinchi era uniformemente marrone, esposto alla luce ultravioletta emanava una radiazione tra il verde e il ciano. Difficile dare per ora un senso univoco alle scoperte sulla biofluorescenza nei mammiferi: di sicuro c’è che sono tutti animali notturni o crepuscolari, e che spesso questo tipo di animali è in grado di vedere le radiazioni UV. Gli ornitorinchi, tuttavia, nuotano e cacciano a occhi chiusi, perché per individuare le prede utilizzano meccanocezione and elettroricezione: di conseguenza, la luce emanata dal pelo non può servire come segnalazione per altri esemplari della stessa specie. Nel paper con cui presentavano la scoperta, gli scienziati statunitensi hanno espresso il desiderio di collaborare con colleghi australiani per poter osservare il fenomeno della biofluorescenza in animali allo stato selvatico.
Sono tutti animali notturni o crepuscolari, e che spesso questo tipo di animali è in grado di vedere le radiazioni UV.